Cavallomania - Racconto
Il vento batteva le scogliere in un incessante tormento, addensando sulla costa pesanti nubi grigie. L’aggrovigliata e lunga barba sbatteva con violenza in volto al proprio possessore.
«C’è aria di tempesta» mormorò il vecchio, rivolto al mare. Camminava lungo la spiaggia fissando il mondo con i suoi occhi vacui, ed il viso arrossato dalla barba costantemente animata dai venti.
I cespugli coronanti gli occhi del vecchio si accigliarono, ridando espressione a quel viso tormentato dalla barba.
«E tu chi sei?».
Incuriosito da un rumore mosse qualche passo in più rispetto al percorso abituale. Uno sbuffo indicò al vecchio la giusta distanza a cui fermarsi. Il vento parve placarsi, concedendo tregua al viso martoriato, rivelando un dolce sorriso fino ad allora celato dalla barba. Il vecchio stava accarezzando il muso di un cavallo.
«Sei fradicio mio piccolo amico, e che ti hanno fatto qui?» saggiando con i polpastrelli le deformità che solcavano il muso della bestia. Da naso a collo il vecchio tracciò una mappa mentale con l’ausilio delle proprie mani, riuscendo a visualizzare ogni dettaglio nella mente.
«Sei naufragato vero? Hai tutta l’aria di venire dal mare».
Un colpo di vento ficcò con violenza la punta della barba nell’occhio sinistro del vecchio. Il cavallo sbuffò con fare beffardo.
«Il mondo si sta agitando di nuovo, vieni con me amico mio, ti asciugherai al faro».
Un boato temporalesco fece tremare la terra e agitare il mare negli abissi.
Il cavallo nitrì.
Il vecchio ebbe l’impressione vi fosse del divertito scherno in quel nitrito. Non ci badò. Prese invece la bestia per il crine con una mano, guidando verso il sentiero, mentre con l’altra dispensava carezze.
Col sorriso celato dal vento si inerpicò per il sentiero.
***
«Sei proprio un bell’animale sai?».
Il cavallo sbuffò in risposta.
«Ora che sei qui all’asciutto, riesco quasi a vederti. Qui, alla luce del faro, vedo molte cose».
Il vecchio accarezzava il cavallo lungo tutta la figura, dal muso martoriato al collo, dal fianco fino alla possente coscia, ove indugiava sempre più a lungo, sempre più a fondo.
«Devi esserti fatto proprio un giro in fondo agli abissi, dico bene? Ma ora ci penso io a ripulirti a dovere, non temere mio caro».
Un tuono fece tremare le pareti, scuotendo l’edificio alle fondamenta ed il promontorio tutto su cui posava.
«Buono, sta buono» sussurrava il vecchio, «sei in buone mani, ora non siamo più soli» lasciando scivolare le carezze sempre più in luoghi ove non sarebbero dovute scivolare.
Il cavallo roteò un occhio con fare languido.
«Bravo così, sta fermo, non pensare a nulla, ora ti pulisco per bene tutto. Ti tiro a lucido, bel cavallino».
Un altro boato squassò i cieli e la terra, la vecchia porta si sfracellò in mille pezzi sotto la violenta irruzione del vento e di un uomo in armatura.
«Vi pare forse questo il modo di annunciarvi?». Inasprendo notevolmente i toni.
L’uomo avanzò sotto il peso di mille sfortune, sovrastando imponente la scena.
«Per tutti i numi! Vecchio! Cosa diamine stai facendo al mio cavallo?».
«Mi prendo cura del mio amico! Ecco che faccio!» rispose aumentando il ritmo con cui rimaneggiava il cavallo. «Anche fosse stato vostro, ora non lo è più di certo, l’ho trovato in riva al mare, era solo e spaventato, io l’ho salvato!».
L’uomo si sfilò l’elmo, lanciandolo con forza in testa al cavallo.
«Spaventato lui? Questo miserabile ammasso di putredine!» sbraitò strabuzzando l’occhio sano.
«Shh! Non è successo niente, sta tranquillo» sussurrava il vecchio al sedere del cavallo, «va tutto bene, ci sono qui io» aggiunse, senza mai smollare l’operato dall’altra mano.
«Per la miseria, smetti subito di maneggiare il mio cavallo o ti trancio le braccia, vecchio laido!», rafforzando le parole con un calcio ad uno sgabello lì accanto, mandandolo in frantumi sulla parete.
«Awen, calmatevi! Siete in casa mia e qui sono custode. Per le leggi di concessione di Castroleone sono diretto responsabile di tutto qui, quindi portate rispetto! Il faro è sotto la mia tutela e con esso ciò che vi sta dentro».
Awen si irrigidì. La mano scattò all’elsa dello spadone appeso alla cintola.
«Che ne sai di me? E perché parli di Castroleone? Sei solo un vecchio pazzo in un cumulo di macerie, quella città è stata rasa al suolo secoli fa assieme all’Impero».
«Io vi vedo chiaramente, Ser Awen di Loch Marr, così come vedo chiaramente Castroleone e la luce del faro sopra le nostre teste». Le mani del vecchio sempre a compiacere il cavallo.
«Sei pazzo, cosa vuoi vedere con quegli occhi che ti ritrovi? Dimmi chi ti ha detto il mio nome, spicciati!».
Awen si chinò a raccogliere una gamba dello sgabello, scagliandola sul muso del cavallo.
«E tu smettila di godertela tanto!»
Il cavallo nitrì stizzito.
«Appartieni ad un mondo di cui non sai proprio nulla, Ser Awen di Loch Marr. E ti affanni in un mondo che non ti appartiene e da cui vorresti solo fuggire. Il vento mi dice chi sei. A sud di qui c’è il Mare dei Lamenti. Quando il vento spira da sud verso nord, come adesso, si odono le voci dei dannati».
Il vecchio si interruppe, affannandosi fra le gambe del cavallo.
«E questa notte si ode il tuo nome, Ser Awen. Non le senti le voci? Ti chiamano. Qualcuno ti reclama, lontano da qui. Ti cerca disperatamente».
Il cavallo si irrigidì, al culmine.
«Tu sei come me, Ser Awen. Lo siete entrambi, io vi posso vedere distintamente sotto la luce del faro!».
Il vecchio si chinò con tutto il corpo fra le gambe del cavallo.
Il cavallo nitrì compiaciuto.
Il vecchio riemerse ricolmo dei fetidi liquami del cavallo.
Ser Awen vomitò alghe ed acqua di mare.
«Voi due non appartenete ai vivi! La dannazione vi chiama a sé!» gorgogliò il vecchio fra i liquami.
Il vento irruppe con violenza dalla porta sfondata sbattendo la barba impiastricciata negli occhi del vecchio.
«Sei rivoltante!» sbraitò Awen, «disgusti pure i morti, non meriti di infestare ancora questi luoghi».
Ser Awen sfoderò lo spadone, avventandosi con disprezzo sull’inerme figura. Il vento mulinava, la spada affondava ed il cielo nero squassava la terra ad ogni nuovo tuono. Il cavallo defecò, infastidito dal baccano alle proprie spalle.
«Malabestia!» tuonò Awen. «Qui abbiamo finito. Lurido animale, tu ed i tuoi stupidi giochi».
***
Il mare si infrangeva con violenza sulla scogliera, erodendone le membra fetta dopo fetta, onda dopo onda. La pioggia scrosciava impietosa fra le rovine del faro. Una luce spettrale si originava presso la sommità della torre diroccata, proiettando ombre sulla terra nel cuore della baia. Tremolanti, cupe e silenti ombre ardevano sotto fiamme spente da secoli ad ogni nuovo passaggio della luce.
Nel cuore del faro, giaceva a terra l’ammasso di carne avvizzita e priva di sangue che un tempo andava a comporre il custode. La testa, priva di corpo e di senno, sbatté le palpebre.
«Cavalca Ser Awen di Loch Marr» gracchiò la testa al suolo.
«Non ti voltare, attraversa i tuoi simili, ma non ancora è lì il tuo posto. Che tu sia per sempre dannato e bandito da entrambi i mondi!».
La testa esplose in un riso graffiante.
Il volto incessantemente frustato dalla barba sotto i colpi del vento spietato.