Il bisogno - Racconto
C’è stato un tempo in cui ero giovane, un tempo in cui non temevo rivali e la mia virilità non aveva eguali. Arrogante, direte voi oggi? Presuntuoso? Forse. Ma fiero dell’uomo che ero e che sono.
Ma la verità io vi devo dire.
Uomo di fatica mi han chiamato. Non è vero niente. Del lavoro? Che volete mi sia importato, serve ma la vita è altra. Fu una sera come tante, di una stagione come altre, fui invitato a cena dal padrone. Un buon signore; di padroni ne ebbi tanti e a quasi tutti in casa a cena andai, la moglie ad alcuni inguaiai, a tanti le serve passai e quasi a nessuno le figlie osai.
Quello, come detto era un gran signore, per tanto lo sguardo attorno tenevo basso. Ma il naso? Il naso, signori miei, è sempre quello che vi frega, ve lo dico io. Era un odore dolciastro, a malapena accennato, ma c’era. Non era odore di cena, non ancora almeno, sia chiaro, ma odore di donna, odore di figlia. Non potevo ignorare quell’odore, non potevo fingere non ci fosse. Cosa poteva mai succedere del resto? Il padrone, era un buon signore, gli dovevo molto. Uno sguardo appena, per curiosità, e nulla più, cosa poteva mai essere?
Bè, avete ovviamente già capito. Uno sguardo è tutto. In fondo agli occhi c’è l’anima delle persone, l’anima dei cuori, le vite passate che si incrociano, i ricordi mai ricordati ma che portano gli istinti ad amarsi senza parlarsi. La certezza di essersi già presi in altre vite, ecco cosa vedevo in quegli occhi.
Quella cena che mi torturava, quel pensiero che mi scaldava, il padrone brindava ed io rapito dalla scollatura di sua figlia che mi reclamava. Mi alzai per seguitare al brindare del padrone, un rito già noto, automatico. Invitati tutti imitammo il calice del padrone alzato, e gli sguardi su di essi. Tutti tranne due.
Il mio naturalmente, fisso su di lei. Il suo, a guidare il mio. Complici le parole, complici il baccano, segreto istigatore dei bicchieri il tintinnare, fu presto che l’occhio mio finisse a seguire la mano libera della ragazza, ma che dico? Della donna, e che donna. Con le dita scivolava in vita, e poi oltre, talmente delicata e naturale che nessuno si sarebbe mai accorto fortuitamente del suo dolce premer fr le gambe, indicandomi tutto e niente. Ed infatti, nessuno oltre noi sapemmo mai.
Seguii nuovamente i suoi occhi. Pifferaia incantatrice ed io boa ipnotizzato, perso nelle sue pupille calai dove ella calava. Sì, proprio su di me calava e osservava, lasciando notare anche a me cosa in me stesso avveniva. Per fortuna ci risedemmo.
Il padrone parlò delle stalle, il mio lavoro. Era l’occasione. Più il padrone si vantava con altri ospiti delle sue mandrie e dei suoi animali di pregio, più coglievo modo con lo sguardo di evidenziare parole a chi le sapeva cogliere.
Fienile, paglia fresca, morbidi giacigli per le puledre migliori. Queste, furono le frasi che fui certo di trasmetterle. Una mano che si tocca delicatamente le labbra, come a rimarcare il vino, quello che doveva ancora venire; le dita leggere lungo il collo, distrattamente fra i seni; il braccio che cala giù lesto, accompagnato dagli occhi che mi trafiggono ed il capo che accenna impercettibilmente in direzione del fienile. Aveva colto ogni cosa, ed io a mia volta coglievo da lei.
Vino, brindisi, chiacchiere e vanterie. Solita proforma, solita gente che vive di lavoro e vanti. Solita finzione da parte mia. La cena è finita andate in pace. Finalmente il mio momento era giunto. Brillo, non ve lo nego, ma sempre conscio mi infilai nel fienile. Non sapevo quanto avrei aspettato, non sapevo come sarebbe accaduto, ma accadde. Lei venne.
Sussurrò parole impercettibili, parole che non colsi forse in una lingua estranea ma il mio cuore capì. Le dita scivolarono a vicenda sui volti. Le sue passarono dal collo alla clavicola, solleticando l’appetito. Le mie le caddero lungo il fianco, bramandone la nuda pelle. Fu così che decisi di risalire, portandomi dietro il lanoso vestito da notte. La osservavo in tutto il corpo con le mani e lei osservava me, premendomisi interamente, calda come nessun’altra.
Potei avvertire il sapore della vita stessa nell’intreccio di lingue, l’unione delle labbra, la comunione di respiri. Riuscii ad assaporare il gusto dell’intrigo, in quei baci che solcavano le sue forme fino al fulcro del desiderio. Scoprii la vera essenza di passione, da quelle mani che cingendola dietro spingevano il fuoco della fonte lungo la mia gola.
Più l’ambrosia invadeva il mio palato, il gusto e la mia mente, più i suoi respiri, i tremiti ed i piaceri passavano a me. Labbra su labbra, mani su fianchi, sguardi negli sguardi.
Non so dirvi nemmeno io come, ricordo solo che senza vestiti mi trovai. Eravamo l’uno alla mercé dell’altra. Quando fu sazia di dissetare il mio furore, non ci fu nemmeno motivo di dubbio su cosa fare. Con me sulla fresca paglia giacque, ed ora vi dirò come le piacque.
Gli occhi, amici miei, sempre gli occhi furono con lei la chiave di tutto. Senza mai venisse meno lo specchio delle nostre anime, a cavalcioni su me in comune intesa si pose. Quali sospiri, quali ansimi si spensero nell’unione dei respiri fra lingue duellanti e corpi galoppanti. La valchiria mi possedeva con maestosa grazia, ed io la rendevo mia con tracotanza rendendola mai sazia. Più mi avvolgeva e più voleva.
Le mani affondanti tra fianchi e schiena, la sua pelle stretta nell’istinto irrefrenabile. Quel rossiccio riccio fra le labbra, un bacio reso eterno dalla sua mano che cerca la mia, mi stringe, mi estranea dal tempo.
E poi quel sospiro, trasformato in respiro, mutato in gemito, rovesciato in gutturale verso. La lingua che venne fra le labbra, stretta in una morsa di piacere. La chioma si spostò, la potei sentire fra le dita, lanosa e calda, proprio come caldo era il suo piacere attorno al mio.
Il dolce suono di un latrato, ecco cosa udii.
Sono sincero, ve lo dico e ve lo riporto come io ricordo. Aprii gli occhi, lasciando la vista adattarsi alla flebile luna penetrante la finestra. Mi resi conto d’esser in piedi, non sul giaciglio di paglia, e fra le dita non una fulva chioma ma un caldo, dolce e tenero vello caprino.
Che fui sempre così, a questa maniera virile e senza eguali? Solo nella mente, mogli, serve e figlie che svergognai?
Rinvenni dal sogno, venni nel bisogno.