La decisione - Racconto
«Quindi, ricapitolando, signore…»
«Boia di quella porca, sto ripetendo le stesse cose da mezz’ora. Cosa c’è di difficile da capire?»
«Signore…»
«Sono stato sequestrato. Le dico che quando mi sono svegliato, non ero in camera mia. Non potevo neanche aprire la porta. Quelle tizie mi hanno rapito e rinchiuso in una stanza, lo capisce o no? Ma io sono più furbo e me ne sono andato quando mi hanno portato di sotto a fare colazione, eh.»
«Signore, non la posso aiutare se non mi dà più informazioni.»
«Ma se è tutt’adesso che vi descrivo ‘ste disgraziate.»
«E questo va bene. Il problema, però, è che lei non mi ha fornito nessun dettaglio riguardo alla stanza, alla strada o alla via. Non ha documenti con sé e l’indirizzo di casa sua, quello che mi ha dettato poco fa, non risulta essere a suo nome.»
«Ma come faccio a dirgli che strada era quella? Io mica la conosco. Sono venuto qui con il primo che si è fermato ad aiutarmi e mi ha caricato in macchina, buon’anima. Poi il mio indirizzo esiste eccome e ci abito anche, siete voi che non lo sapete trovare.»
Il carabiniere, ‘sto ragazzotto senza peli in faccia, sospira e si porta una mano alla fronte. Come se fosse lui ad essere stato rapito da due squilibrate e dovesse sorbirsi l’onere di denunciare il fatto.
«Ora dov’è la persona che l’ha accompagnata in caserma?»
«E io come faccio a saperlo?»
«…Va bene… Può dirmi il numero di un familiare o di qualcuno che possa venire a prenderla?»
«Ma la denuncia l’ha fatta o no? Siamo a posto così?»
«Se potesse ripetermi le sue formalità ancora una volta e indicarmi qualche familiare che…»
«Ma porca puttana, a cosa le serve sapere chi è mia moglie, mio fratello o mio cugino?»
Il carabiniere mi guarda male. Lui pensa di essere discreto, invece io capisco perfettamente che è scocciato perché non ha voglia di lavorare.
«Mi aspetti qui un secondo.»
Si alza ed esce dalla porta. Se questa è professionalità… Poi ci credo che la gente non si fida. Lasciano i criminali a piede libero, mentre loro si trastullano.
Mi sgranchisco un po’ le gambe perché cominciano a farmi male. Fuori dalla finestra ci sono solo macchine e macchine che sfrecciano una dopo l’altra.
Una si ferma. Mi pare di averla già vista.
Oh no, sono le due tizie che mi hanno sequestrato.
Vedo la bionda richiudere lo sportello e dire qualcosa all’altra, la riccia che mi aveva accompagnato in cucina, dal finestrino.
Ora devo fare una scelta: la prima è chiamare subito il carabiniere e dirgli che le criminali sono qui, la seconda è darmela a gambe. Tutto considerato, propenderei per la seconda opzione. Però devo sbrigarmi o quello torna e allora sono fregato per davvero.
Esco dall’ufficio senza fare rumore, cercando di appiattirmi al muro il più possibile e soprattutto di non farmi beccare da altre persone nei dintorni.
Sento un rumore di voci, allora tendo l’orecchio per ascoltare meglio.
«Esatto, è proprio lui. Meno male.» È la voce della bionda.
«Venga con me, l’ho lasciato nel mio ufficio.»
Oddio, questi sono in combutta fra loro, è un complotto.
Io sono più furbo però, vedrai che bello scherzo che gli faccio. Ritorno nella stanza di prima e mi nascondo dietro la porta, aspettando il loro arrivo.
«Prego, entri.» Mi viene da ridere solo a immaginarmi l’espressione che faranno.
«Ma dov’è? Dov’è andato?» La sequestratrice sembra nel panico, l’ho fregata alla grande.
Li sento allontanarsi e capisco che è il mio momento. Con uno slancio, corro fino a raggiungere l’uscita prima che mi prendano.
«Gio’, dove stai andando? Fermati!» Oh, porca. Mi ero dimenticato dell’altra tipa che stava nel parcheggio.
Ma che razza di gambe ha? Mi rincorre come un ghepardo, questa.
«Fermo! Giovanni!» La pazza mi urla dietro e adesso anche la bionda si è unita alla caccia, insieme al carabiniere.
«Si fermi!»
«Nonno, non scappare! Ti riportiamo a casa!»
Ma guarda questa che racconta in giro che sono il nonno. Mica sono vecchio. Mia figlia non ha neanche vent’anni ancora.
Non faccio in tempo a raggiungere l’altro lato della strada che la riccia riesce a placcarmi. Mi divincolo con tutte le forze, ma non mi viene su il fiato e mi sembra che le costole siano state strizzate come un passatello. La tosse non accenna a smettere e mi accascio a terra.
«Gio’… Calmati. Se fai così, peggiori le cose.»
«Nonno! Aspetta, ti aiuto, non lo muovere da sola. Attenta allo sterno.»
«No, non da quella parte. Portiamolo sul marciapiede.»
«Signore… Come sta? Chiamo l’ambulanza.»
Voci e immagini si confondono fino a che non diventa tutto nero.
Grida, sirene, auto, sono nel tutto e nel niente.
«Svelti, caricatelo sulla barella.»
Mi travolge la sensazione dell’acqua in movimento. Sono su una barca in mezzo al mare e il cielo è limpido senza neanche una nuvola all’orizzonte.
Poi non lo vedo più, il cielo. La barca mi culla dolcemente.
Tra gli starnazzi dei gabbiani, la luce si è fatta bianca. È accecante e non mi piace. I marinai delle altre navi creano un gran baccano. Stiamo per approdare, ma la vedetta non parla.
Qualcuno singhiozza.
«Rosanna, cos’è successo?»
«Non lo so, mamma. Stavamo facendo colazione, noi due, poi anche il nonno si è svegliato… Doveva mangiare… È fuggito senza che ce ne accorgessimo…»
Il porto di solito è pieno di vita. Ora sembra svuotato. Il che è strano, perché c’è sempre qualcosa di cui occuparsi tra la pulizia delle navi, il cambio delle funi, il carico e lo scarico delle merci, i controlli. Ai miei tempi nessuno andava in ferie, il mare era la nostra casa. La MIA casa.
«Non basta più attaccargli al braccio il cartellino con il nome e l’indirizzo o provare a seguirlo senza l’aiuto di un professionista. Ha bisogno di rimanere in una struttura che si possa occupare delle sue esigenze. Questi episodi non solo tendono a ripresentarsi, ma progrediranno nel tempo, diventando man mano più gravi. Non si può tornare indietro.» La voce è maschile e profonda, qualche volta l’ho sentita.
«Ma noi stiamo facendo tutto quanto. Siamo con lui tutti i giorni, tutte le ore, facciamo gli esercizi di memoria insieme, lo portiamo a passeggiare, in piscina… Perché…Ci deve essere un farmaco che rallenti il processo…»
«Alcuni pazienti hanno un decorso lento, altri perdono presto la capacità linguistica e motoria e possono anche arrivare allo stato vegetativo. Purtroppo i casi non sono tutti uguali. Mi dispiace.»
Sento il rumore di passi che si allontanano, altri si avvicinano.
«Sei sveglio? Ba’, come stai?»
È Laura. Ha un bel paio di occhiaie e la fronte corrugata, deve aver fatto un altro turno stanotte.
«Babbo, mi senti?»
«Mica sono sordo.» Lei sorride.
Poi entra Rosanna. Ha gli occhi gonfi e le escono ciuffi di capelli biondi dalla coda di cavallo.
«Ciao nonno. Come ti senti ora? Hai ancora voglia di scappare?» Dice lei con un suono tra il soffiato e il bagnato.
«Sto bene e vedrai che scappo di nuovo. La polizia non mi prenderà.»
Rosanna ride e qualche lacrima le riga la guancia. «Mi hai fatto prendere un bello spavento, nonno. Chiedi a Lisa, pensava fossi diventata una pazza isterica.» Rimane un secondo in silenzio. «Ti terranno un po’ in ospedale, ma poi torniamo a casa insieme, va bene?»
«Certo, torniamo insieme.»
Ed è vero. Torneremo insieme. Ma poi dovrò ripartire, perché non sopporto l’idea di perdere pezzi, di avere i mie ricordi cancellati e gettati chissà dove. Ho preso una decisione e voglio portarla a termine: la mia vera casa mi aspetta.
Miriam
Grazie a chi lo ha scritto, è un racconto che offre spunti di riflessione importanti e profondi sulla condizione di persone che realmente vivono situazioni del genere.
Avrei letto un seguito molto volentieri!
Fabioscalo
Ciao Miriam grazie del tuo commento, sono l’admin del sito e del gruppo Telegram @scriverebene. Ho inoltrato il tuo apprezzamento all’autrice @sammy